IL GIUDICE

    Pronunciandosi   sull'eccezione  di  legittimita'  costituzionale
sollevata dalla difesa di Fakoud Abdellah, nato a Khourigba (Marocco)
il  7 novembre 1970; imputato per la violazione degli artt. 337, 582,
648 c.p.;
    Sentito il p.m., che ha chiesto respingersi l'eccezione;
                            O s s e r v a
    A  conclusione  delle indagini preliminari, il p.m. ha chiesto il
rinvio  a  giudizio  di  Fakoud  Abdellah  per  i  reati  di cui agli
artt. 582-585,  337, 648 c.p., 6 comma 3 legge 40/1998 ed all'udienza
preliminare,   celebrata   il   10   ottobre   2000,   il   difensore
dell'imputato,  munito  di procura speciale, ha formulato proposta di
patteggiamento  con  riferimento  ai reati di cui agli artt. 582, 337
c.p.,  6  comma  3  legge  40/1998  (capi 1, 2 e 4 della richiesta di
rinvio a giudizio).
    Su  tale  istanza  il  p.m.  ha espresso il proprio dissenso e il
difensore  ha  prospettato  questione  di legittimita' costituzionale
dell'art. 448  c.1  c.p.p. nella parte in cui non consente al giudice
dell'udienza  preliminare  di  pronunciare  immediatamente  sentenza,
qualora ritenga immotivato il dissenso del p.m. e fondata la proposta
di patteggiamento dell'imputato.
    Ritiene  questo  giudice  che  la  questione  sia rilevante e non
manifestamente  infondata,  sia  pure  per  profili diversi da quelli
prospettati dalla difesa.
    Quanto  al  giudizio  di  rilevanza:  l'art. 448  c.p.p. e' norma
direttamente  applicabile  al  caso  di  specie, ove si consideri che
l'imputato (per il tramite del suo procuratore speciale) ha formulato
una  richiesta  di  patteggiamento  sulla quale il giudice, atteso il
dissenso del p.m., non puo' pronunciarsi.
    E  la  pronuncia  e'  impedita  proprio dall'attuale formulazione
dell'art. 448  c.p.p.  nella  parte  in  cui  prevede  che il giudice
dell'udienza  preliminare,  in  caso  di  dissenso  del  p.m.,  debba
necessariamente  ed  obbligatoriamente demandare la valutazione circa
la fondatezza del dissenso al giudice del dibattimento.
    Quanto  al  giudizio  di  non manifesta infondatezza: la legge 16
dicembre 1999 n. 479 (c.d. Legge Carotti) ha profondamente inciso sui
poteri  del  giudice dell'udienza preliminare e sulla funzione stessa
di  tale  udienza,  ridefinendo  ed  ampliando  i poteri del primo ed
introducendo una nuova finalita' della seconda.
    Se,  prima  della  modifica,  l'udienza preliminare era concepita
solo  come il filtro contro le imputazioni azzardate, che introduceva
una  fase  di verifica preliminare della consistenza dell'accusa, ora
essa  costituisce  il primo momento di valutazione piu' approfondita,
estesa  anche  a  profili  di  merito,  della fondatezza dell'ipotesi
accusatoria,  della  sufficienza  e idoneita' degli elementi raccolti
dal  p.m.  nella  fase  delle  indagini  preliminari  ad ottenere una
pronuncia di colpevolezza.
    Correlativamente,  sono stati sensibilmente ampliati i poteri del
giudice  incaricato  di tale verifica e, maggiormente che in passato,
il  baricentro  del  processo  e'  stato spostato - anticipandolo - a
questa fase intermedia.
    Lo scopo primario di questa riforma - che appare il frutto di una
meditata e consapevole scelta del legislatore - e' evidente ed emerge
con  chiarezza  dalla lettura dei lavori preparatori: ridurre il piu'
possibile   il   numero   dei   processi   che  approdano  alla  sede
dibattimentale.
    Il  perseguimento  di  tale  intento  anima  l'intera  disciplina
dell'udienza  preliminare  ed  a tal fine sono state introdotte norme
nuove  o  ampliate  le  norme  previgenti: l'art. 421-bis c.p.p., che
attribuisce  al  g.u.p.  il  potere  di  indicare ulteriori indagini,
qualora  ritenga  che  le  indagini  preliminari  non siano complete;
l'art. 422  c.p.p.,  che  riconosce  al  g.u.p.  autonomi  poteri  di
integrazione probatoria;
    l'art. 425 comma 2 c.p.p., che consente al g.u.p. di concedere le
circostanze  attenuanti  generiche  e  di  effettuare  il giudizio di
bilanciamento di cui all'art. 69 c.p., con conseguente riconoscimento
di  una  causa  di  estinzione  del reato, l'art. 425 comma 3 c.p.p.,
norma  di  chiusura,  che  impone  al  g.u.p.  di  operare  una  piu'
approfondita   valutazione  del  materiale  probatorio  presente  nel
fascicolo  del  p.m.,  pronunciando sentenza di non luogo a procedere
"anche   quando   gli  elementi  acquisiti  risultano  insufficienti,
contraddittori   o  comunque  non  idonei  a  sostenere  l'accusa  in
giudizio".
    Ancora  una  volta  appare chiara la finalita' del legislatore di
evitare   la   celebrazione  di  dibattimenti  superflui,  in  quanto
destinati  a  concludersi con la declaratoria di estinzione del reato
(art. 425  comma  2  c.p.p.)  ovvero con una pronuncia di assoluzione
conseguente  all'originaria  imperfezione  del  materiale  probatorio
acquisito  ed  all'impossibilita'  di  essere  sviluppato  nella sede
dibattimentale  (art. 425  comma  3  c.p.p.):  con riferimento a tale
ultima  ipotesi,  il giudice e' dunque chiamato a valutare in udienza
preliminare  se  la  contraddittorieta' degli elementi di prova possa
essere   risolta   attraverso   l'istruttoria   dibattimentale  o  se
attraverso   di  essa  si  possano  completare  elementi  allo  stato
insufficienti  e  dovra'  provvedere  ai  sensi  dell'art. 425 c.p.p.
allorche' tale verifica sia negativa.
    L'udienza   preliminare   e'   anche  la  sede  privilegiata  per
esercitare  la  scelta dei riti alternativi, che la legge n. 479/1999
ha  voluto  in  ogni modo incentivare, introducendo degli sbarramenti
temporali   alla   loro  proposizione,  gia'  previsti  per  il  rito
abbreviato ed ora estesi al patteggiamento.
    Cosi',   la   formulazione  delle  conclusioni  nel  corso  della
discussione  dell'udienza  preliminare  se  da  un  lato  continua  a
rappresentare  il termine ultimo per la presentazione della richiesta
di  rito abbreviato, e' divenuta, contrariamente al passato, anche il
limite  oltre  al  quale  non  puo' piu' essere validamente richiesta
l'applicazione  della  pena  ex  art. 444  c.p.p., come stabilisce il
nuovo primo comma dell'art. 446 c.p.p. (introdotto dall'art. 33 legge
n. 479/1999).
    Si  tratta  di  una  modifica invocata ed attesa praticamente fin
dall'entrata  in  vigore del codice di rito e che appare finalizzata,
ancora  una  volta,  a  snellire  i  ruoli  dibattimentali  impedendo
l'accesso  al  rito - oltremodo premiale - del patteggiamento dopo il
superamento dell'udienza preliminare.
    E'  evidente  infatti che consentire all'imputato di formulare la
richiesta  "fino  alla  dichiarazione di apertura del dibattimento di
primo  grado",  come  prevedeva  il  precedente comma 1 dell'art. 448
c.p.p.,  sacrificava  in  modo eccessivo il principio dell'efficienza
del sistema giustizia ed il principio di uguaglianza, introducendo un
sistema  oggettivamente sbilanciato in favore dell'imputato, il quale
usufruiva  degli  indiscutibili vantaggi connessi al rito premiale in
discorso,  senza  che  tuttavia  a tali vantaggi corrispondesse nella
sostanza  una  riduzione dei tempi processuali ovvero dei costi della
giustizia o altro.
    Appare  pertanto  ragionevole  e  coerente con il sistema l'avere
introdotto  un  contrappeso, che consenta all'imputato di ottenere il
risultato  premiale  senza  sacrificare  l'interesse collettivo della
deflazione   del   dibattimento,  della  speditezza  del  processo  e
dell'efficienza del sistema giustizia nel suo complesso.
    Ma  la  riforma,  che  pure  si e' mossa su questa strada, non e'
completa: incomprensibilmente infatti, ed in modo del tutto illogico,
se  il  p.m.  esprime  il  dissenso  sulla proposta di patteggiamento
formulata  all'udienza  preliminare,  il giudice non puo' valutare la
fondatezza  della  stessa  e  pronunciare sentenza, ma deve rimettere
tale valutazione al giudice del dibattimento.
    La  normativa vigente infatti prevede che l'imputato, prima della
dichiarazione  di  apertura  del  dibattimento  di primo grado, possa
rinnovare  la  richiesta  e  il giudice (a quel punto, il giudice del
dibattimento),   se   la   ritenga  fondata  pronunci  immediatamente
sentenza.
    La  disciplina  si  completa con il nuovo art. 135 disp. att. del
c.p.p.,  come  modificato  dall'art. 52  legge  n. 479/1999, il quale
prevede  che  il giudice - per decidere sulla richiesta "rinnovata" -
ordina  l'esibizione degli atti nel fascicolo del p.m., di talche' se
la  richiesta  e'  accolta,  gli  atti  esibiti  vengono inseriti nel
fascicolo per il dibattimento, altrimenti sono restituiti al pubblico
ministero.
    Ne  consegue  che  l'imputato  puo'  solo  riproporre la medesima
richiesta,  in relazione alla quale il p.m. nella fase delle indagini
preliminari  o nell'udienza preliminare non aveva prestato il proprio
consenso,  e  dunque  si  puo'  affermare  che  sicuramente  la nuova
richiesta  dell'imputato  non  puo'  che essere una "fotocopia" della
precedente:  se  cosi'  non  fosse,  si consentirebbe all'imputato di
eludere  i  termini  preclusivi  fissati  nel  comma  1 dell'art. 446
c.p.p..
    Ebbene: non si comprende per quale motivo il giudice, al quale la
proposta  venga  presentata  in  termini all'udienza preliminare, non
possa  direttamente  valutare,  in  caso  di  dissenso  del  p.m., la
fondatezza  della  richiesta  e  pronunciare  sentenza  se la ritenga
fondata  e  debba  invece limitarsi a trasmettere gli atti al giudice
del dibattimento, che dovra' compiere la valutazione di quella stessa
istanza sulla base degli stessi atti sottoposti all'esame del g.u.p.
    E'  forse  il  frutto  di una dimenticanza del legislatore, ma il
sistema   risultante   pare   seriamente   in  contrasto  con  alcuni
fondamentali canoni costituzionali:
    art. 3    Costituzione:    pare    incomprensibile,    e   dunque
irragionevole,  non consentire al giudice dell'udienza preliminare la
valutazione   sulla  fondatezza  della  proposta  di  patteggiamento,
laddove  invece  il  sistema complessivo della riforma e', come si e'
visto,   palesemente  ispirato  all'accrescimento  dei  poteri  -  di
integrazione  probatoria  e  di  valutazione della regiudicanda - del
g.u.p.,  nonche'  di  centralita'  dell'udienza preliminare, sede non
solo  privilegiata,  ma  esclusiva,  per  l'accesso  ai premiali riti
alternativi, per i reati per i quali tale udienza e' prevista.
    Il sistema risultante pare dunque viziato da illogicita' interna,
da  contraddittorieta'  in  una parola da irragionevolezza, posto che
quella  di  cui  si  discute e' forse l'unica questione prospettabile
all'udienza  preliminare  sulla  quale il giudice non ha il potere di
pronunciarsi,  senza  che  la  mancata  attribuzione  di  tale potere
risponda peraltro ad alcuna ragione sostanziale.
    art. 97  Costituzione:  lo stallo conseguente alla sottrazione al
g.u.p.  del  potere  di  valutazione  dell'istanza  di patteggiamento
impone l'espletamento degli adempimenti finalizzati all'instaurazione
del  giudizio  dibattimentale  (notifica  del decreto all'imputato ed
alla  persona  offesa  non  presente,  formazione  del  fascicolo del
dibattimento,    trasmissione    del   fascicolo   al   giudice   del
dibattimento),  impegna  un'udienza dibattimentale, costringe il p.m.
alla citazione dei testimoni con la conseguenza (cui si e' cercato di
rimediare con la modifica dei termini di proposizione dell'istanza di
patteggiamento)  che  l'imputato  potra'  riproporre  al  giudice del
dibattimento  l'istanza  di  patteggiamento  ed  il  processo  potra'
concludersi con la sentenza ex art. 444 c.p.p.
    Sotto questo profilo l'attuale normativa viola anche il principio
del  buon  andamento della pubblica amministrazione (nella quale deve
ovviamente  ricomprendersi  anche quella giudiziaria), comportando un
aggravio di costi e l'appesantimento della macchina giudiziaria.
    art. 111   Costituzione:  l'instaurazione  di  un'ulteriore  fase
processuale pare in contrasto con il principio di recente istituzione
relativo  alla  ragionevole  durata del processo, in quanto introduce
come  necessaria  una fase processuale ulteriore che puo' in concreto
essere evitata.